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mercoledì 18 giugno 2014

Indovina chi viene in libreria

Ovvero, come mi ritrovo pubblicata su carta!


 Mai come ora  mi era capitato che il destino avesse teso le sue misteriose trame in modo tale da farmi ritrovare imbrigliata nelle sue elaborate pianificazioni: ma a quanto pare, dopo anni vissuti a subire la corrente degli eventi, finalmente ora mi trovo a poter gestire, ma forse è solo l'illusione la mia d'esser il burattinaio, le fila di una tanto insolita quanto piacevolissima situazione riguardante la stesura del mio primo romanzo, I sogni di Margaret.
 Dopo essere riuscita nella già improbabile impresa d'aver scritto una storia così lunga, forse anche abbastanza bene organizzata, a dire di alcuni persino emotivamente coinvolgente, ho scoperto con immenso piacere di avere degli amici meravigliosi: prime fra tutte quelle amiche, sia nuove che di vecchia data, che si sono offerte di leggere la storia nel suo venire alla luce, spronandomi, col loro entusiasmo, nel mettere nero su bianco le vicende che affollavano la mia mente come una visione cinematografica delle disavventure di Margaret, ovvero Adriana, Simona e Lara; poi la piacevole sorpresa di sentirmi proporre da altri due amici, Walter e Alessandro, di stampare questa mia opera, perchè da buoni lettori come me, sanno anche loro quanto diverso sia l'approccio alla lettura fatto sorreggendo tra le mani il delicato peso di un libro rilegato, potendone sfogliare le pagine con un brivido di piacere; e poi l'ultimo grande regalo da parte di quelle tanto care compagne d'avventura sul web, con le quali condivido la passione per Richard Armitage, ovvero quelle nuove amiche che si sono offerte sia di tradurlo che di fare da tramite, ove possibile, per recapitare proprio nelle mani di questo affascinante attore , le due versioni del romanzo, quella italiana e quella inglese, quindi un grandissimo grazie a Valentina, Adriana, Stefy e suo marito Jon, che essendo inglese dovrà subire la "tortura" della revisione finale, Silvia, Gaia, Gemma e tutte le altre che si sono offerte di consegnarglielo, se possibile, quando andranno all' Old Vic Theatre alla visione di The crucible.
 Che dire ?
 Ho sempre pensato che la mia vita fosse simile alla trama di un film, a volte drammatica, altre volte piacevolissima, piena d'amore per due figli meravigliosi, carica d'entusiasmo per il piacere che mi arreca dedicarmi alla lettura e alla scrittura, ma anche al disegno, al ballo, alla cucina, a tutto ciò che mi stimola insomma; e poi sorprendente quando mi stupisce sempre, ogni volta che vedo quella luce negli occhi di persone che ho la grande fortuna d'avere come amici, perchè forse, proprio come nelle trame di un film, se non ho avuto fortuna nell'incontrare l'amore della mia vita, quello con la A maiuscola, mi è stato almeno concesso di poter apprezzare tante altre forme d'amore...

 In fondo, è come si dice tra le righe de I sogni di Margaret: 

"... l'amore è come l'acqua, senza forma, ed infatti assume quella del recipiente che la contiene, oppure talvolta può essere addirittura un piccolo ruscello, un fiume impetuoso, un mare sconfinato, o addirittura un immenso oceano.
Ma invariata rimane la sua essenza: rimane sempre acqua , rimane sempre amore..."

 Grazie a tutti, grazie d'esserci, grazie perchè credete in me, grazie perchè "scorrete come un fiume impetuoso e gorgheggiante".




lunedì 26 maggio 2014

I sogni di Margaret- pagina FB

Sono su Faccialibro!!


 In questi tempi in cui il web pare l'unica opportunità possibile per promuovere un'opera letteraria, non potevo esimermi dall'aprire la pagina Facebook dedicata al mio romanzo.
 Così una settimana fa ho cominciato a cimentarmi in questa ennesima forma di pubblicità per far conoscere non solo la trama del mio romanzo, ma anche tante curiosità, come le musiche che ascoltavo mentre scrivevo i vari passaggi della storia, le ambientazioni dei vari sogni, luoghi reali con antiche storie da raccontare, e poi brevi biografie degli attori che ho immaginato interpretare i personaggi cartacei, i libri ed i film amati dalla protagonista, insomma, tutto un insieme di notizie, curiosità ed anche aneddoti, relativi alla nascita ed alla stesura di questa storia.
 Per ora il riscontro nelle vendite è discreto, ma quel che più mi ha dato soddisfazione è stato scoprire quanto sia piaciuta questa storia a chi l'ha, per ora, già letta.
 Mi auguro a breve di poter ampliare la distribuzione; se mai cambierò piattaforma vi comunicherò al più presto come continuare a scaricare il formato e-book, e forse, se le prossime giornate troverò davvero un finanziatore, potrei anche cominciare a fornire la versione cartacea del libro: perchè, diciamocelo, per chi, come me, è cresciuto con un lecca lecca in una mano ed un libro nell'altra, è pressocchè impossibile concepire la sola lettura su schermo...
  A noi serve il tocco della carta, il profumo delle copertine, lo sventolare lieve delle pagine, perchè un libro è come uno scrigno : una promessa invitante di passioni, brividi e sorprese che ci concedono di sognare per un breve momento delle nostre vite.





martedì 20 maggio 2014

I Predatori dell'Acca perduta



 Se scrivere risulta per alcuni, me compresa, una vera forma di realizzazione, soddisfazione e panacèa, il farlo non dico bene, ma almeno decentemente, risulta talvolta un impegno estenuante.
 Dopo l'aver partorito il mio manoscritto più recente, quel "I sogni di Margaret" che ho avuto l'ardire di mettere in vendita su Amazon in forma di e-book, mi sono resa conto che, malgrado le numerose revisioni e riletture, questo presentava ancora numerosi errori di battitura, per non parlare poi di qualche involontario scivolone grammaticale.
 Di "acca" sbagliate, per fortuna, finora, non ne sono state trovate, ma confesso che mio malgrado ho commesso più di una volta sbagli dovuti alla fretta ed alla distrazione, presumo; lettere invertite che talvolta mi fan pensare d'essere una dislessica mancata, apostrofi mal assegnati che han fatto gridare vergogna a mia figlia, "n" che improvvisamente diventano le compagne di viaggio di "b" e "p" su percorsi malamente battuti...
 Perdonatemi.
 Mi riprometto di apporre tutte le dovute e necessarie modifiche all'ultima versione inserita su Amazon, appena avrò ricevuto l'ultimo aggiornamento da parte di quei miei carissimi amici che così tanto generosamente mi hanno avvertito della presenza di queste mie sviste.
 Intanto mi permetto d'inviarvi questo mio ringraziamento di gruppo, a voi tutti cari Predatori dell''Acca perduta ( perchè, spero ve ne siate accorti, tendo a battezzare ogni mio articolo attingendo al titolo di un film più o meno famoso... ^^), che mi state aiutando nella rvisione necessaria a rendere questa storia il più perfetta possibile per chi, dopo di voi, mi farà l'onore di leggerla!

I miei fantastici Predatori :

- Adriana
- Thai Kien Trieu
- Silvia Sottile
- Walter Marzullo
- Simona Brasini



http://www.amazon.it/dp/B00KBUSO5M/ref=cm_sw_r_fa_dp_nC8Ctb1P9HKZK







mercoledì 14 maggio 2014

La ritorno dell'Oca selvaggia



 Oggi ho scopeto che secondo i nativi americani, essendo nata i primi giorni dell'anno, l'animale che mi contraddistingue è nientemeno che l'Oca.
 E dico NIENTEMENO con orgoglio, perché mi piace proprio la descrizione che viene associata al carattere di chi appartiene a questo segno: SE VOLETE CHE QUALCOSA SIA FATTA, FATELA FARE AD UN OCA.
In effetti ho sempre ammirato la tenacia di questi grandi volatili: grandi davvero, non so se vi è mai capitato di avvicinarne qualcuno, magari in qualche parco ancora dotato di laghetto circondato da genuflessi salici piangenti. Sono veramente grandi, persino eleganti oserei dire.
 Contrariamente al comune pensare, stupida come un'oca è decisamente un modo di dire inappriopriato: forse si è scambiato per stupidità quel costante ritornare di queste maestose creature, ai loro nidi al rientro dalle terre lontane dove esse son solite migrare, non so bene il motivo della scelta di questo ingiusto appellativo; di certo so che nella cultura dell'antica America, l'essere associato alle caratteristiche di quest'animale era ritenuto un grande onore.
  Perseverante, tenace e ambiziosa, l'Oca si pone degli obbiettivi da raggiungere e molto spesso li ottiene.  E questo non perchè sia vanitosa, affatto, non le interessa primeggiare sugli altri: lei lo fa per sfidare se stessa.
 Non c'è motivazione migliore di quella che ci spinge ad ottenere il meglio per pura sfida personale: immaginate la soddisfazione nel poter brindare con se stessi quando quegli obbiettivi si sono raggiunti!
 L'oca eccelle in tutte le cose che tenta, e questo forse perchè se sa di non poter ottenere il massimo, lei non ci si cimenta proprio in quell'impresa!
 Pare poi che tra le pareti domestiche, rilassata e a proprio agio tra le persone della famiglia che ama, quest'oca riesca persino a risultare passionale, divertente e finanche sensuale.
 Quest'aspetto ancora non lo conosco, ma forse, data la mia natura, devo ancora raggiungere il livello adatto a trasformarmi in fois gras, perchè ho come la sensazione che per ottenere la massima soddisfazione tra le pareti domestiche, sia assolutamente indispensabile quanto necessaria, la completa mancanza di insoddisfazione personale: e chi non è più soddisfatto di se stesso se non colui che che non desidera null'altro se non quello che già possiede?

 Con ossequi, la vostra Oca giuliva!





SONO SU AMAZON!!

Sono soddisfazioni...

Non sarà il romanzo dell'anno, però fa piacere vedere la propria "creatura" in vendita come e-book e poi ricevere i primi commenti positivi perchè la storia che hai narrato ha coinvolto e persino emozionato alcuni lettori!!

Se anche voi siete rimasti incuriositi dalle vicissitudini di Margaret e volete scoprire come si conclude questo racconto, scaricate l'e-book da questo sito, il programma Kindle è fornito direttamente e gratuitamente allo stesso link.

Buona lettura e se volete, commentate e fatemi sapere che impressione vi ha fatto!




  Ero su Amazon... ma le cose son cambiate, migliorando...
presto sarà disponibile la versione cartacea del romanzo, ordinabile in tute le maggiori librerie d'Italia, tra cui Feltinelli, Mondadori e IBS

Appena possibile aggiornerò i dati, bye!!



martedì 13 maggio 2014

I sogni di Margaret,  cap. 5


 Il mio romanzo da oggi ha una sua copertina: non potevo tralasciare questo particolare, quindi con soddisfazione condivido con voi la creazione di questa immagine!

 Spero  che la lettura vi soddisfi, così per arrivare a concludere questa settimana vi aggiungo altri tre capitoli e così vediamo cosa succede quando nella già movimentata routine di Margaret s'intromette un altro personaggio stranamente interessato a lei...


Ho modificato questo post perchè il libro sta cominciando a farsi conoscere e ad ottenere i primi risultati!
Per ora mantengo il link con il collegamento ad Amazon, ma presto farò delle variazioni, perchè sto vedendo di promuoverlo diversamente...
Vi terrò aggiornati!





 " Margaret continua le sue sedute col dottor Hamilton e i suoi sogni diventano sempre più chiari, più ricchi di particolari; però, a quanto pare, questi sogni iniziano ad influenzare sempre di più anche la sua vita reale, infatti la donna rischia di compromettere persino la sua salute ogni volta che si immerge in essi...
 E Richard come si comporta in questo frangente?
 O meglio: cosa nasconde Richard nel suo passato? Cosa incuriosisce Margaret tanto da spingerla a fare ricerche su di lui? 
 E poi adesso c'è anche Steven, il produttore cinematografico che a quanto pare non cerca Margaret solo perchè ha bisogno di lei per lavoro; le cose cominciano a farsi complicate, come si comporterà Margaret ora che è presa tra due fuochi?"






Cap. 5


Di nuovo.
Sono scesa, sono davanti al cancello di ferro che anche questa volta si apre senza problemi, si spalanca mi, lascia entrare e le tre porte sono lì, davanti a me.
- Quale porta vuoi aprire Margaret? - Richard è già li vicino a me, mi guarda calmo e paziente, ma non vede le porte così come le vedo io, guarda solo me, vede il riflesso delle mie parole.
- Sono davanti alla porta rossa, ma non si apre ora, è bloccata. Adesso sono davanti alla verde ...- allungo la mano, e la porta verde si apre senza problemi: socchiudo un attimo gli occhi, mi aspetto d'essere accecata nuovamente dalla luce del sole, invece no.
- Dammi la mano Margaret - mi volto a guardarlo, mi sta porgendo la mano ed io lascio che la mia sparisca nella sua, la stessa sensazione che ho provato quando per la prima volta gliela strinsi.
- Ora siamo entrambi spettatori. Guidami, raccontami Margaret: dove siamo? -
- E' quasi notte, il crepuscolo: siamo in edificio modesto, quasi fatiscente. Sento i lamenti di altre persone che non vedo, bambini che piangono, vecchi che tossiscono. Siamo in un corridoio, là in fondo c'è una piccola finestra; vieni andiamo a vedere – e lo trascino con me, stringendogli la mano, voglio guardare fuori dalle finestra, cosa c'è lì fuori?
Mi manca il sole del sogno precedente, speravo di ritornare lì...
- Cosa vedi Margaret? Parlami – ha una voce così dolce, morbida, dovrebbe essere lui a narrarmi una storia; invece sono io che racconto.
- La città è devastata, quasi abbandonata, è uno scenario tristissimo, la poca gente che vedo si nasconde o si trascina per i vicoli sporchi -
- Dove siamo ? -
- Siamo in Francia, a Douai. E' il 1712 e gli Spagnoli che ci hanno assediato ci hanno lasciati a morire di tifo ... Sto morendo, di tifo. Guarda, sono là -
Mi giro alla mia sinistra, una piccola porta ci fa accedere in uno stanzone sporco, per fortuna non sento gli odori, devono essere esalazioni di morte, putrefazione, malattia.
- Eccomi: quella vecchia laggiù, vedi? Sono su un giaciglio arrangiato sul pavimento - mi riconosco subito, non so perché - devo avere circa sessant'anni, ma forse è la malattia che m'invecchia. Sono stanca, così stanca: il dolore, Dio, quanto dolore, le mie mani, raggrinzite, le macchie scure del morbo che non hanno pietà della mia pelle. Voglio morire, Richard, voglio morire, ti prego... basta , basta dolore... -
- Ascoltami Margaret: senti la mia mano, si? - me la stringe forte, l'accarezza con entrambe le sue ora, il suo pollice si strofina nel mio palmo, e lo sento, sento quella sensazione di calore che riesce a trasmettermi e il dolore svanisce.
Resto io, e mi volto a guardarmi: sono accovacciata vicino alla vecchia che rantola, Richard accanto a me – Sei con me ora, fuori da tutto questo. Adesso, con calma, dimmi : chi sei? -
- Sono Emma, sono nata e cresciuta qui, in questa cittadina: vendo fiori, giù al mercato, lo faceva mia madre prima di me, ed io ho continuato dopo di lei: i fiori più belli e profumati di Douai, tutti conoscono i miei fiori... Si sta avvicinando una donna adesso, un ragazzo è con lei –
Mi volto a guardare la donna che si fa strada tra i corpi degli altri malati, non si cura della sporcizia, dell'aria mortale che alberga in quella stanza, viene diretta verso di me; un giovane che avrà a malapena vent'anni la segue, porta una piccola cesta piena di fiori, rose.
- Chi sono Margaret, puoi dirmelo ? - ancora la voce di Richard, che insiste ma senza forzarmi.
- Lei è Sophie, una mia vicina, mia madre ha tirato su anche lei assieme a me quando è rimasta orfana, è come una sorella. Lui è suo figlio, Albert: sono come una seconda madre per lui. Ha le mani sporche di vernice, no, sono colori ad olio: è un artista, un pittore. Lui ama dipingere i miei fiori, si: ha imparato a disegnare raffigurando le mie viole, i gladioli, le fresie. Ha appena completato il suo quadro più bello, mi dice che ha avuto talmente successo, che ora che finalmente la città è libera con i soldi ottenuti grazie a quel quadro lui e sua madre hanno un fututo assicurato. Ha le lacrime agli occhi, Albert: quanto è dolce quel ragazzo. Sono io il soggetto del quadro, mi ha ritratta in mezzo ai miei fiori, alle mie rose, le sue preferite: me le ha portate, guarda, guarda Richard ! -
- Si Margaret, le vedo. Le vedo grazie alle tue parole; cosa succede ora? Dimmi, racconta -
- Emma sta prendendo una bottiglietta dalla cesta. C'è un liquido dentro, opaco, fa per aprirlo, vuole farmi bere il contenuto; non capisco, Albert la trattiene, sta piangendo non vuole... -
Mi chino leggermente come se volessi accostarmi alle loro bocche per poter ascoltare meglio quel che dicono: è francese, si ,ma ora capisco, si capisco tutto .
- Sophie ha portato dell' aconito, è un veleno. Sono giorni che la supplico di porre fine alle mie sofferenze, non ce la fa più a vedermi così, sappiamo entrambe che non mi rimane molto, vuole aiutarmi. Ma Albert si rifiuta di accettare quel gesto, non vuole lasciarmi andare, cerca di convincere ancora la madre, dopo tanti tentativi, ancora cerca di farle cambiare idea: mi vuole bene, come a una madre, forse anche di più. -
Lo guardo, Emma lo guarda, e con quella poca luce vitale che mi rimane ancora, lo convinco che solo così potrà rendermi felice, solo così potrà liberarmi – "Ti prego, Albert ... ti prego ..."-
Mi volto verso Richard, lo guardo, lo vedo quasi tremolante tra le lacrime che adesso mi riempiono gli occhi, non riesco a trattenermi: sono così triste, così triste ...
- Ha capito: si, adesso Albert ha capito. E' lui che apre la bottiglietta, mi abbraccia incurante della repulsione verso la malattia: appoggia sulle mie labbra il flaconcino e lentamente lascia che io beva il liquido amaro. Mi continua a sorreggere mentre il mio corpo devastato sussulta, mi parla dolcemente all'orecchio, una vecchia filastrocca che gli narravo quando era bambino; adesso una smorfia di dolore mi compare sul viso, ma poi sono serena, gli sorrido debolmente, sono libera. Ma lui non si dà pace, e piange, piange talmente tanto: io... io non credevo mi volesse così bene... io non lo sapevo... -


Mi lascio andare anche io ad un pianto dirotto, mentre Richard mi abbraccia, mi consola massaggiandomi la schiena con quelle mani grandi e calde; lascia che le mie lacrime gli bagnino la spalla e siamo di nuovo nel suo studio, sulla poltrona, io in braccio a lui mentre mi culla dolcemente come una bambina che si è risvegliata da un brutto sogno. Sento la sua barba tra i miei capelli e non vorrei andarmene più da lì; voglio restare così, ancora, rannicchiata nell'incavo del suo braccio, accovacciata come un cucciolo che cerca riparo, perchè mi sento così al sicuro adesso.
Riesco a fermare i singhiozzi e lo guardo: ho le guance rigate dalle lacrime e penso che probabilmente devo avere un aspetto orribile: il mascara sarà colato senza ritegno, mi sento gli occhi gonfi, mi bruciano , ho il volto in fiamme, persino le orecchie mi paiono tizzoni ardenti.
Non diciamo nulla. Il mio viso è a pochi centimetri dal suo, con la mano sposta una ciocca dei miei capelli che aderisce al mio viso, le lacrime che la trattengono come una colla.
Io dentro quegli occhi credo che potrei perdermi, invece provo qualcosa di diverso quando mi soffermo con i miei nei suoi: non mi ci perdo...mi ci trovo.
E' una sensazione incredibilmente appagante, un sollievo, come quando aneli disperatamente a raggiungere uno scopo o un riparo durante una tempesta: una barca alla deriva che finalmente riesce ad ancorarsi in un porto sicuro, una rondine travolta dalla forza del vento che riesce ad infilarsi in un anfratto evitando la furia che fuori la travolge: è come tornare a casa dopo un lungo viaggio, dopo un vagare senza mèta, senza scopo, senza pace.
Lo vedo avvicinare la bocca alla mia, desidero con tutte le mie forze che mi baci, ti prego, fallo: invece è sulla mia fronte che poggia le sue labbra, delicatamente, sono fredde.
- Stai bruciando Margaret, hai la febbre -
- Cosa?... io... no, non mi sento bene... -
Al rogo: se fossi una strega al rogo probabilmente mi sentirei così. Improvvisamente prendo coscienza del mio corpo e mi scopro avvolta dalle fiamme di un fuoco che mi brucia dentro, non solo il viso, ma tutto il mio corpo è come se si fosse trasformato in un falò che mi arde nello stomaco, nel petto, sale lungo il collo, striscia alla base del mio cranio per poi risalire, come una radice che si spande finchè non avvolge completamente tutta la mia testa, s'insinua nel mio cranio e dilaga ovunque, raggiungendo ogni più piccolo anfratto della mia testa.
A malapena mi rendo conto del tremore incontrollato delle mie labbra, fatico a parlare: - Richard.... Ri... Richard.... -
Non riesco più nemmeno a mettere a fuoco il suo volto, ma ho la sensezione d'essere sollevata, come se non pesassi più di un sacco di farina. Mi sento trasportare, di corsa, su per una scala. Percepisco appena le sue parole, ascolto ma non comprendo: ho male al collo, tanto male, lo sento irrigidirsi come se stesse diventando di pietra.
- Margareth ..... hai le convulsioni ... Cristo santo!... Bruci, scotti troppo, troppo...!-
Il rumore dell'acqua, quello lo sento, qualcuno deve aver aperto un rubinetto: scroscia forte e intanto vagamente mi rendo conto che mi stanno togliendo la vestaglia, i calzini...
Mi sento scivolare, dolcemente, ma senza che mi lascino del tutto: sento l'acqua che a poco a poco mi ricopre, le gambe, il ventre, la schiena; però non mi lasciano andare del tutto. Sento la forza delle braccia che mi sorreggono la nuca, il mento e mentre l'acqua che a malapena percepisco fresca raggiunge il mio torace e mi ricopre il seno, cerco di capire cosa sta succedendo, chi mi sostiene...? Richard? Li vedo i suoi occhi...si... è lui... no, forse.. ma non sembra lui...


" Sono occhi azzurri come il ghiaccio sciolto, come il cielo riflesso in un lago di montagna, come i 'non ti scordar di me' che crescevano nel giardino di mia mamma... e sono anche lame d'acciaio: sono gli occhi di Bran che mi guardano adesso, occhi tristi, freddi, occhi confusi, sconvolti ...
E' lì, davanti a me, se riuscissi ad alzare una mano potrei sfiorarlo, lo so. Potrei scostagli quel ciuffo di capelli corvini che gli è scivolato sul viso: è ferito, lividi violacei gli segnano il volto, un taglio gli attraversa sanguinando il sopracciglio.... sembra sconvolto... io, non capisco...perchè mi guarda così? Poi abbassa lo sguardo ed io seguo il suo e la vedo, vedo la lama che affonda nel mio ventre, la sua mano che impugna l'elsa della spada che ha conficcato nella mia carne, il sangue, tutto quel sangue... il mio sangue, il mio sangue sulle sue mani.
Poi il suo grido, un urlo disperato, come il verso di un animale stretto nella morsa di una tagliola che gli lacera la zampa. - No! .... Nooooo! -"


Spalanco gli occhi sobbalzando.
Sono stesa in un letto che non conosco, ma non è un sogno ora. Sento lenzuola fresche profumate di bucato, sento il morbido peso di un piumino che ricopre il mio corpo. Non brucio più ora: sono dolorante, si, come se avessi percorso una maratona estenuante, i muscoli tesi, contratti, gli occhi mi pizzicano ancora, li sento acquosi.
Cerco di mettere a fuoco l'ambiente, c'è poca luce. Prima noto il cassettone a fianco del letto, sembra di ciliegio, scuro comunque, lineare, moderno: sopra c'è una cornice con una foto che non riesco a distinguere, tre, quattro libri impilati uno sopra l'altro, un calice con un dito di liquido scuro dentro, vino forse. Giro lentamente la testa: ai piedi del letto la parete è coperta da un lungo armadio dalle ante scorrevoli, una poltrona con sopra qualche indumento appoggiato lì con noncuranza; accanto un tavolino con una piccola lampada, ancora libri, tanti, sistemati un pò alla rinfusa, l'unico punto disordinato in tutta quella semplicità. Dalla finestra, attraverso le tende socchiuse, filtra una debole luce, dev'essere quasi l'alba; sta ancora piovendo, non forte come la sera prima, ma ancora sento, insistenti, le gocce di pioggia che tamburellano sui vetri, sembra quasi stiano intonando una ninna nanna.
Pioggia...
Quanto pioveva la sera prima? Mi torna in mente tutto... La pioggia, io fradicia che allago l'ingresso, la torta: ho lasciato la torta sul tavolino dell'ingresso, mi sono dimenticata di darla a Richard...! Che pensiero sciocco adesso... ma dov'è Richard?
Mi volto sulla schiena, sento il mio corpo che affonda appena nel materasso morbido, il mio peso scivola di qualche centimetro indietro e si blocca contro qualcosa di massiccio, caldo.
E' lui, Richard, è lì, vicino a me: io sotto le lenzuola, mi accorgo ora che indosso solo una lunga camicia, sembra flanella; lui accanto a me, sta sopra il piumone, solo una coperta sulle gambe che lo copre fino alla vita, le maniche del maglione che indossava la sera prima arrotolate fino al gomito. Mi soffermo a guardarlo, la linea delle sopracciglia, due virgole folte sulle palpebre abbassate, la curva della mascella, forte ma al tempo stesso morbida, non troppo squadrata se non fin quando giunge sotto l'orecchio e allora piega di scatto, verso l'alto, in quel punto dove la barba si confonde un attimo con la basetta, davanti alla piega del lobo.
Comincio a mettere a fuoco qualche ricordo: il sogno, la febbre, il fuoco che mi divampa dentro: e poi Richard, preoccupato. Mi ha portata al piano di sopra, mi ha immersa in una vasca d'acqua fredda, tamponata finchè la temperatura del mio corpo non è scesa. Fossi stata sola in preda a quel delirio infernale, non lo so se sarei sopravvissuta...
Resto immobile, così, a guardarlo: fatico a credere che fino ad un paio di settimane prima la mia vita procedesse come al solito, con il suo noioso tran tran quotidiano, le mie serate con Amanda e Jane, i libri, il cinema... E adesso?
I sogni che tornano a popolare le mie notti agitate, Jane che vuole usarli come argomento di laurea e Richard, il suo insegnante, che sembra comparire al momento giusto, che si offre di aiutarmi, che entra a far parte della mia vita come se fosse la cosa più normale del mondo, quasi scontata, sin dal primo momento che ci siamo incontrati.
Se penso che ora sono lì, nel suo letto, che siamo così vicini, quasi intimi anche se ancora sconosciuti, falsi amanti quando ci uniamo per spiare vite di altri nei sogni, uniti nelle nostre menti, stranieri nelle nostre realtà...
Devono avere un peso i miei pensieri: sospira, apre gli occhi, mi guarda.
Tocca la mia fronte, il mio viso, il polso. - Come ti senti ora? - noto appena un tremolio nel suo tono di voce: era davvero preoccupato stanotte, si è spaventato?
- Come se mi fosse passato sopra un tir... - mi accorgo d'avere la voce un pò afona – cosa mi è successo? -
- Credo che la pioggia che ti sei presa ieri sera ti abbia provocato un raffreddamento con i fiocchi: ho davvero temuto di non riuscire ad abbassare la temperatura del tuo corpo, nel giro di poco bruciavi come una torcia -
- Ho sognato ancora Richard – lo dico così, di getto – ho sognato Bran che mi uccideva -
Di nuovo mi accarezza il volto, ma stavolta non è per sentire se scotto.
- Così adesso c'è anche un omicidio: non ti fai mancare nulla Thompson, non c'è che dire, quando muori lo fai in grande -
Sorrido: non posso che pensarla come lui.
Gli racconto i particolari, l'aspetto di Bran, le sue ferite, le mie, la spada. Mi ascolta senza commentare.
- Non capisco Richard, davvero... che senso ha tutto questo? Perchè sempre gli stessi sogni? Perchè sempre le mie morti? Cosa vuol dire, devo capire qualcosa? -
- Tranquilla, vedrai, ne verremo a capo. Te lo prometto -
- Sono nuda Richard –
Arrossisce stupito alle mie parole – Ti ho messo qualcosa di asciutto dopo che ti avevo immerso nella vasca... Dio Margaret, sono un medico... non penserai mica... -
- No no, non mi riferivo a quello! - ho parlato senza pensare, mi riesce difficile essere razionale accanto a lui: ho un atteggiamento insolito nei suoi confronti, lo riconosco. Talvolta ho come l'impressione di leggere un libro che già conosco, mi sembra d'aver ristrovato un vecchio amico d'infanzia, qualcuno che mi conosce come il palmo della sua mano, che mi capisce al volo, con cui posso parlare senza remore. Altre volte mi sembra di osservarlo come fossi ai piedi di una montagna, io in basso, lui lassù, a guardare orizzonti che non conosco, distante anni luce anche se a pochi metri da me.
Volevo dire che mi sento nuda nell'animo, come persona, nello spirito: mi sento nuda dentro, mi comprendi? -
Si ricompone subito, gli bastano pochi istanti, torna impassibile: Richard Hamilton, la roccia.
- Io non so nulla di te invece – ormai non mi trattiene più nulla, la curiosità della mia dea interiore prende il sopravvento, sta cavalcando con il sottofondo de "La cavalcata delle Valkirie". Continuo... - Chi sei Richard? -
Un secondo, due secondi, tre secondi... Continua a guardarmi fisso negli occhi: se prima mi sentivo nuda adesso è come se si fosse appena tuffato dentro di me...
- Lo sai: sono un professore universitario, laureato in medicina con una seconda laurea in psichiatria e specializzato in psicoterapia, nonchè relatore della tesi della tua amica Jane Barnes, la quale specializzanda ha pensato bene d'incuriosirmi con il tuo caso. E così eccomi qua, a cercare di aiutarti, perchè te l'assicuro, è la prima volta che ho a che fare con sogni così coinvolgenti: sono estremamente affascinanti... i tuoi sogni ... Margaret -
- I miei sogni Richard? -
Non risponde. Io insisto.
- Jane mi ha detto che ti sei trasferito da poco a Londra, non è da molto che insegni qui...-
E' come se dovesse decidere se e cosa dirmi, una muta risposta le cui parole cerca nei miei occhi.
- Sono di Edimburgo, ho studiato là, ci sono rimasto fino ad un anno fa; poi mi sono trasferito qui... mi hanno fatto una buona offerta per insegnare all'Università e collaboro anche con alcuni ospedali. Non c'è poi niente di molto interessante nel mio passato, Margaret, sono solo un insegnante, un medico, felice quando posso aiutare gli altri a stare meglio: tutto qui -
- Scusami, non volevo essere indiscreta; solo che ti conosco da così poco, e guarda come stiamo adesso... - ridiamo entrambi, per un attimo ho avuto come l'impressione che ci fosse un pò di tensione nell'aria.
- Vado a prenderi i vestiti di sotto, saranno asciutti ormai; chiama Jane e sua madre, così ti fai venire a prendere da loro -
- Ma posso benissimo tornare a casa da sola... -
- Assolutamente no, non transigo - no, il tono decisamente non transige – ti fai accompagnare a casa, ti darò un antipiretico e un ricostiruente da prendere durante il giorno e stasera mi farai sapere come stai, ok? -
Non attende nemmeno che risponda, è già sceso a prendere le mie cose.
Mentre aspetto mi alzo seduta nel letto: in effetti sono ancora debole, mi gira un pò la testa, riesco ad accendere la lampada sul comodino accanto al cassettone e la luce soffusa illumina parte della stanza. Lo sguardo mi cade sulla foto accanto al calice: è Richard, è in mezzo ad altri due uomini, forse colleghi, sembrano medici anche loro: solo che lui è diverso, la barba meno folta, è solo accennata, i capelli più lunghi. So che è lui, eppure sembra un altro: ha un'aria familiare ...
Rientra con i miei abiti e la borsa, tutto è asciutto, anche se la camicia e il jeans hanno un'aria decisamente sofferta
- Ho messo a preparare il tè: hai portato tu quella torta che è all'ingresso? -
- Si, oddio, mi sono dimenticata di dirtelo ieri: volevo sdebitarmi in qualche modo per tutto quello che stai facendo per me.. spero ti piaccia il cioccolato -
- L'adoro! Perfetto, così possiamo prenderla col tè, ti ci vuole proprio per rimetterti in sesto: ti aspetto di sotto -
Mi scappa un sorriso mentre esce ed io comincio a rivestirmi: adora la cioccolata, fantastico!






PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA


Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

Avviso: il mio romanzo sarà presto disponibile in formato cartaceo e su ebook formato PDF,
appena sarà pronto aggiornerò i dati!! A presto e grazie per il sostegno!







domenica 11 maggio 2014

I sogni di Margaret, cap. 3 e 4



 Mi auguro tanto che la lettura della mia "creatura" vi piaccia: dato che oggi è domenica, nonchè festa della mamma, vi posto subito il terzo e il quarto capitolo del romanzo...
 Dato poi che io adoro scrivere usufruendo di una colonna sonora adatta al procedere del racconto, vi fornisco anche la playlist delle musiche che mi hanno accompagnata durante la stesura del racconto: buona lettura amici miei!!



  "La storia comincia a prendere delle pieghe interessanti: Margaret inizia le sue sedute col dottor Hamilton e scopriamo nuovi particolari dei suoi strani sogni.

  Inoltre è evidente che tra i due c'è un'alchimia immediata, ma Richard non è il solo uomo che è piombato all'improvviso nella vita della nostra amica; e poi ci sono strani movimenti intorno a lei, qualcosa che pare muoversi nell'ombra ... 

 Che i sogni di Margaret non siano poi così irreali come pensiamo?"


https://www.youtube.com/playlist?list=PL3BdR0P92EL91zB4nDoHmDQqyW_yNMMtB










Cap. 3


"E' un odore forte, acre, che non riconosco subito, quello che mi penetra nelle narici: fastidioso ma anche piacevole, sembra acquaragia, e vernice insieme.
Fatico ad aprire gli occhi, sento il mio respiro che a forza costringe il mio petto a sollevarsi, ad immettere aria nei miei polmoni: sono stanca, tanto stanca.
Mi accorgo che il dolore non mi ha lasciato più nulla ormai, nè la dignità, nè la speranza: la mia carne è devastata, la mia mente offuscata.
- Ti prego... ti prego, basta... -
E' la mia voce questa? E' una voce roca, spossata, ma anche vecchia, affannata: capisco d'aver visto passare molti anni e quando socchiudo finalmente gli occhi, noto le rughe che si intrecciano sulle mie mani: mani vecchie, scure, macchiate dai segni d'una malattia che non lascia spazio alla speranza...
Poi una mano gentile solleva la mia testa, mi sussurra parole dolci, di conforto: sono melodiose, come melodiosa può esser solo la lingua francese. Lentamente lo sconosciuto lascia scivolare nelle mie labbra una bevanda amara, e malgrado tossisca la ingoio; aspra graffia la mia gola, m' infiamma lo stomaco, poi come un fuoco che calcella ogni traccia di dolore, mi rilasso: sono serena, le braccia che mi cullano non abbandonano la presa, e i miei occhi cercano i suoi, e li trovo, azzurri, chiari, limpidi e puri e su di essi si chiudono i miei, mentre la morte finalmente mi accoglie liberandomi dal peso del tormento delle mie carni..."


Apro gli occhi, il sole sta già filtrando attraverso le imposte socchiuse, allungo la mano e trovo il mantello morbido di Zoe, che arrotolata sul cuscino accanto al mio, ronfa tranquillamente consapevole dell'oziosa mattinata che ci aspetta: e mi sento incredibilmente triste.
Questo sabato mattina, ho voglia di fare tutto con calma: assaporo il profumo della brioche che si scalda nel micronde, ammiro i vortici del latte mentre lo verso nel tè forte e bollente e mentre sorseggio la calda bevanda osservo dalla finestra il passaggio rapido dei pettirossi, che sorpresi dai primi freddi, si affrettano ad arruffare le piume scarlatte sul loro impavido cuore. Mi voglio coccolare, così, indossando ancora la camicia da notte, metto su un cd di musiche che ho raccolto non molto tempo fa: le melodie della colonna sonora de "Il curioso caso di Benjamin Button", si alternano a quelle di "The crimson wing" e di "The fellowship of the ring", e mentre le note del pianoforte e dei violini, interpretati da Michael Omartian, mi accarezzano l'anima, voglio proprio esagerare e mi spalmo una maschera purificante sul viso. Con lo strato viola sulla faccia mi sembro la versione punk di Puffetta, ma almeno mi scappa un mezzo sorriso prima che la maschera cominci a solidificarsi: accendo il cellulare e trovo un messaggio di Jane che risale ad un'ora prima:" Passo a prenderti io per andare a pranzo da Amanda, così ti racconto cosa mi ha risposto il professor Hamilton quando gli ho parlato di te, ok? Sarà anche meglio che essere una sua paziente, vedrai! A tra poco, abbraccio!"
"Sarà anche meglio che essere una sua paziente?" Cosa vorrà dire? Mi chiedo perplessa mentre comincio a sentire la pelle che si sta asciugando in fretta sotto l'effetto della maschera all'argilla. Mah...!
Sono in bagno che comincio a pulirmi il viso con la spugnetta e l'acqua tiepida quando sento suonare al portone d'ingresso - Sono un pò in ritardo, Jane è già arrivata - penso mentre apro di fretta lasciando socchiusa la porta: poi torno in bagno per completare la pulizia, e intanto avverto Jane che son quasi pronta.
- Dammi solo cinque minuti Jane, m'infilo una maglia pulita e sono da te! Intanto se vuoi c'è del tè già pronto nel bollitore in cucina, le tazze sai dove sono... -
Cerco di togliere in fretta l'ultima parte di maschera che, ormai secca, non ne vuole sapere di staccarsi dalla piega sotto il labbro inferiore, sfilo la camicia da notte e mentre infilo la biancheria pulita e il jeans grigio fresco di bucato, afferro il cardigan azzurro ed esco dal bagno per salutare Jane: solo che non c'è Jane sulla porta d'ingresso...
Appartiene ad un Richard Hamilton in tuta nera lo sguardo tra il divertito e lo stupito che mi guarda dall'alto del suo metro e novanta ed io impiego la bellezza di dieci secondi per realizzare che ho aperto la porta di casa senza controllare chi effettivamente fosse, che sono mezza nuda perchè ancora non ho ancora infilato il cardigan, e che Richard Hamilton probabilmente potrebbe anche indossare una tuta da palombaro, ma in qualsiasi caso resterebbe comunque affascinante come può esserlo una tigre che vigila sul suo territorio.
Si strofina le mani come se fosse intirizzito per l'aria pungente di quel mattino di tardo ottobre e finalmente rompe il silenzio – Una bella tazza di tè caldo la prenderei volentieri in verità, ma temo di doverti chiedere di servirmela tu, perchè non ho idea di dove tieni le tazze -
- Oh, ma certo, la prendo subito... - non mi viene in mente altro da dirgli, mi stupisco persino io di me stessa. Finalmente riesco ad abbottonarmi il golfino e mentre mi fiondo sulla credenza per prendere una delle mie tazze preferite, quella con le rose gialle screziate di rosa, cerco di evitare il suo sguardo, anche se percepisco chiaramente che sta trattenendo a stento una risata.
- Latte? Zucchero? - riesco a chiedergli invitandolo a sedersi sulla poltrona di fronte al camino, dove il fuoco che ho acceso appena alzata ha cominciato a scoppiettare allegramente.
- Solo latte, grazie – si siede affondando nel cuscino a fiori che di solito mi metto sotto la nuca quando mi arrotolo sorniona su quella poltrona, immergendomi nella lettura di un bel libro.
– Chiedo scusa per la mia intrusione; sono stato davvero maleducato, ma giuro che non ho fatto in tempo a presentarmi prima che mi aprissi la porta, pensavo avessi visto dalla finestra che ero io -
- No davvero, sono io che devo scusarmi – finalmente riesco a guardarlo negli occhi mentre comincio a riprendermi dalla sorpresa – stavo aspettando Jane ed ero convinta fosse lei – poggio il vassoio con le tazze del tè sul tavolino che si frappone tra me e lui, siamo talmente vicini che sento l'odore della sua pelle: non è un profumo, è solo il suo odore, dolce ma aspro nello stesso tempo e distolgo subito lo sguardo concentrandomi sul latte che cerco di versare senza far danni prima di porgergli la tazzina, con le rose la sua, con i bucaneve la mia.
- Non capisco però a cosa devo questa visita e poi non credevo conoscessi il mio indirizzo -
- Perdonami di nuovo, ma ieri Jane è venuta a illustrarmi la tua situazione e mi ha talmente incuriosito con la tua storia che le ho chiesto io se potevo parlartene direttamente; è stata così gentile da darmi il tuo indirizzo e mi ero ripromesso di non disturbarti nel weekend, ma stamattina stavo facendo una corsa nel parco qui davanti e mi sono reso conto che ero nei pressi di casa tua: non ho saputo resistere ed ho pensato che nel peggiore dei casi non mi avresti risposto o magari non saresti stata in casa. Ed eccomi qua. -
Jane. Devo ancora decidere se quando la vedrò l'abbraccerò o la strozzerò.
- Oh, si , beh, hai fatto bene davvero a fermarti: in effetti Jane mi ha lasciato un messaggio stamattina, dicendo però che non mi vuoi come paziente, o sbaglio? - cerco di concentrarmi sul mio tè, continuo a girare in maniera meccanica il cucchiaino ma non ricordo nemmeno se ci ho messo lo zucchero...
- Ecco, il motivo non è che non ti voglia come paziente o che non sia interessato alla tua situazione, anzi: semplicemente non credo che tu abbia bisogno di farti curare. Cioè, mi spiego: trovo estremamente interessanti questi tuoi sogni, ma non mi sembra che possiamo definirli manifestazione di una tua turbe o di un problema psicologico: da quel che mi ha accennato Jane, questi sogni sono cominciati durante un momento particolarmente stressante per te... -
Sto cominciando ad arrossire: quanto gli ha raccontato Jane su di me?
- Quindi pensavo di seguirti ma non come medico curante, bensì come supporto terapeutico; in questo modo anche Jane potrà continuare a fare dei riferimenti nella sua tesi ai progressi che otterremo, cosa che non potrebbe fare nel caso tu fossi una mia paziente. Così invece possiamo collaborare entrambi per aiutarti a superare questo tuo particolare momento. Se sei d'accordo, è logico... -
Ha un tono di voce calmo, pacato, associato alla musica in sottofondo è come se mi abbracciasse e cullasse: come fanno i suoi alunni a seguire le sue lezioni senza lasciarsi incantare? Mi guarda aspettando che io risponda.
- Certo, si, mi sembra un'ottima idea, davvero.. Davvero pensi che sia un caso interessante il mio? -
- Decisamente si! - ha delle mani così grandi che invece di prendere la tazza da tè per il manico, la solleva afferrandola completamente dall'alto, in un modo che trovo insolitamente tenero, sembra quasi un bambino in procinto di trangugiare una cioccolata calda tutta d'un fiato.
- Davvero, te l'assicuro; di solito mi trovo ad avere a che fare con traumi più o meno violenti subiti dai miei pazienti e con l'ipnosi riesco a far riaffiorare anche quei ricordi che la loro coscienza vuole nascondere. Ma nel tuo caso si tratta di qualcosa di completamente nuovo e ti giuro che non vedo l'ora di cominciare... purtroppo tra i corsi e i pazienti il mio unico tempo libero è quello nei fine settimana o in tarda serata, non so se ti può andare bene di vederci in orari così insoliti... cosa ne dici Margaret? -
- Nessun problema per me, anzi, va benissimo come orario; anche io avrei problemi in effetti, attualmente il lavoro mi assorbe molto. Quindi, quando vogliamo cominciare? - Finalemente mi decido a bere il mio tè: no, decisamente non l'avevo zuccherato, storco un pò la bocca per quanto è amaro...
- Che ne dici di stasera? Io sarei libero, diciamo, intorno alle nove, sempre che tu non abbia altri programmi, s'intende. -
- No no, va benissimo: devo venire da te? -
- Si, sarebbe meglio. Ho un appartamento nella zona universitaria e lì ho attrezzato anche il mio studio: è molto pratico poter scendere a lavorare con le pantofole ai piedi - sorride mentre mi allunga il suo biglietto da visita con l'indirizzo e il suo numero di cellulare stampato con caratteri semplici, puliti e lineari: solo il nome preceduto da dottore, senza troppi titoli.
In quel momento suonano alla porta. - Stavolta dev'essere Jane – gli rendo il sorriso mentre lui si alza e si avvia verso l'ingresso: lo accompagno e mentre apro la porta di fronte a lui, vedo che alza la mano per avvicinarla al mio volto. Non so se trattengo il fiato più per lo stupore dovuto al gesto o per il fatto che accanto a lui mi sento sempre sovrastare, certo è che non mi aspetto che mi accarezzi il mento: poi noto la sua espressione divertita e il suo pollice macchiato di viola, i resti dello strato di maschera all'argilla che devo aver omesso di togliere con la spugnetta poco prima.
- Il viola ti dona, ma penso che non vorrai uscire con questo sul mento... -
- Salveeee... - il sorriso luminoso di Jane compare improvvisamente tra di noi.
Richard la saluta calorosamente prima di andarsene e mentre mi rendo conto che ho intrattenuto con lui una conversazione di mezz'ora esibendo il mento mezzo viola, Jane mi sommerge di domande su come abbiamo deciso di procedere con le sedute.
Le racconto della proposta di Richard mentre ci avviamo a piedi a casa di Amanda: il sole fatica adesso a scaldare l'aria, nuvole biricchine si rincorrono velocemente sospinte da un vento che ci schiaffeggia dispettoso mentre ci affrettiamo a percorrere la breve distanza che separa il mio appartamento da quello di Amanda, un grazioso bilocale che lei ha arredato sistemando vecchi mobili su uno sfondo di tappezzeria a righe gialle e celesti.
Entriamo usando le chiavi di Jane e veniamo avvolte dal profumo di un delizioso arrosto, cosa che ci sorprende non poco dato che gli exploit culinari di Amanda di solito si limitano ad un paio di uova sode su un letto d'insalata mista, pretagliata e prelavata.
- Finalmente siete arrivate! – ci accoglie indossando un grembiulino che sotto le macchie di olio dev'esser stato un tempo bianco candido, e mentre sia io che Jane notiamo quanto sia radiosa malgrado l'impegno ai fornelli, il mio occhio cade su un grazioso e profumato mazzolino di fiori, che fa la sua bella figura al centro della tavola già apparecchiata.
- Ma che belli questi fiori Amanda, li hai presi apposta per noi ? Sono profumatissimi... -
- Oh, quelli, no... A dire il vero li ha portati Simon ieri sera... -
- Dai!! Raccontaci tutto! - Jane è già seduta accanto alla madre mentre sistema sulla tovaglia stampata a quadretti il vassoio con l'arrosto circondato da invitanti patatine dorate.
- Allora, com'è stata questa serata che tanto temevi?- aggiungo io - Noiosa come immaginavi? -
- Beh, no, se devo essere sincera è stata insolitamente piacevole: Simon si è rivelata una persona davvero alla mano, garbata ed anche simpatica -
E mentre io e Jane cominciamo a fare gli onori all'impegno con cui è stato preparato il delizioso arrosto, Amanda non s'interrompe nemmeno per mangiare tanto è presa ad illustrarci ogni minimo particolare su come Simon l'abbia ringraziata per l'invito portandole i fiori, e poi la sua conversazione spigliata, di come lei lo abbia erudito sui films che più l'hanno coinvolta negli ultimi anni, e poi i libri, tanti libri che hanno scoperto di amare entrambi con la stessa intensità. Insomma, se non le ricordassimo noi che dovrebbe perlomeno gustarsi un pezzetto di quella gustosa carne che è riuscita a preparare, lei continuerebbe a parlarci del "suo" Simon senza interruzioni fino a sera.
Guardo Jane con un'espressione colma di soddisfazione e lei ricambia: abbiamo fatto centro, la nostra sensazione che Simon e Amanda fossero fatti l'uno per l'altra si sta dimostrando decisamente giusta e soltanto quando stiamo finendo d'asciugare i piatti riesco a dirle che quella sera stessa ho il mio primo appuntamento terapeutico col dottor Hamilton.
- Così stasera andrai da lui nel suo studio? - mi chiede versandomi il caffè, rituale di chiusura dei nostri pranzi domenicali – Ti ha già detto come intende procedere? -
- No, di questo non abbiamo parlato, ma penso che mi rimetterò completamente alla sua esperienza: a me basterebbe davvero che smettessero prima o poi questi sogni, sto cominciando a risentire di tutti questi miei decessi ormai! -
Proseguiamo a chiacchierare e scherzare prendendo in giro Amanda che, senza nemmeno accorgersene, ogni cinque minuti ricade sull'argomento Simon; poi saluto le due donne che decidono di trascorrere assieme la serata e, con la promessa di aggiornarle il mattino seguente sull'esito del mio appuntamento, riprendo la strada di casa, pensando, mentre cammino a passo veloce, che devo ricordarmi di prendere con me il quadernino con gli appunti di Jane quella sera, così da poter fornire a Richard già qualche dato su cui basare il suo studio sui miei sogni.
Sono già nei pressi di casa e sto costeggiando il piccolo parco che si trova tra l'angolo della mia strada e la piazza adiacente, quando la sensazione d'essere osservata mi convince a fermarmi e a guardare in direzione dell'entrata del parco: il venticello frizzante della mattina adesso soffia senza vergogna, scuote burbero i rami dei platani che incorniciano il cancello dell'ingresso, costringe l'insegna di ferro battuto a compiere improbabili evoluzioni attorno alla catena che la sostiene; ma non vedo anima viva, nè in quella direzione, nè verso il lato opposto della strada.
Un brivido mi scende furtivo lungo la schiena e mentre mi stringo nel mio cappottino nero, il gracchiare di un corvo mi fa sobbalzare: giro lo sguardo nuovamente verso il parco e vedo il grosso uccello nero che mi fissa con le sue vitree pupille dall'alto della cima di un albero; poi il vento smuove con forza le fronde e un attimo dopo del volatile non c'è più traccia. Quasi corro finchè non arrivo finalmente davanti ai gradini che conducono all'ingresso del mio appartamento e in fretta mi c'infilo dentro, richiudendo la porta di casa alle mie spalle: nemmeno tolgo il cappotto, ma subito prendo tra le braccia Zoe e mi fermo qualche minuto, seduta sulla mia poltrona preferita: fisso le ceneri ormai fredde nel camino, quel che resta del fuoco acceso quella mattina, poi finalmente mi decido a svestirmi e in fretta metto a scaldare l'acqua per il tè: rosso, assolutamente.
Lo studio di Richard si trova in una zona molto bella e tranquilla del campus universitario: un vialetto lastricato di pietre arrotondate mi introduce oltre un cancellino bianco, basso, che delimita un pezzetto di giardino ben curato, semplice nella sua architettura, ma al tempo stesso molto elegante, gli arbusti di rose che si alternano a bassi cespugli di campanule, le quali, incuranti dei primi freddi, ostinate, macchiano di viola il prato tagliato da poco e l'effetto cromatico che ne risulta mi fa desiderare di imprimere nella memoria quell'immagine, tanto pare l'ispirazione per un dipinto ad olio.
Mi viene ad aprire indossando un cardigan di lana nero, che incrociandosi sui suoi forti fianchi in un modo, a parer mio, decisamente sensuale, mi costringe a distogliere rapidamente lo sguardo da lui: mi concentro quindi sulla stanza adibita a studio in cui mi introduce, mentre gentilmente si offre di appendere il mio cappotto e la sciarpa lilla che gli porgo. E' un locale non molto grande, o almeno, c'è una tale quantità di libri che ricopre pareti e scaffali da farlo apparire saturo, ristretto, persino l'aria è piena di odore di pelle, carta, inchiostro. Sembra la saletta privata di una biblioteca. Mi piace. Tanto.
- Ho pensato che ti sarebbe stato utile consultare questo – dico porgendogli il quadernino con gli appunti – Jane ha pensato da subito che fosse una buona idea trascrivere i particolari più ricorrenti, ed abbiamo usato tre colori diversi per contraddistinguerli come vedi. -
Richard prende il libretto dalle mie mani – E' stata un'ottima idea infatti –
Lo sfoglia velocemente e noto quanto sia strano che quelle sottili paginette scorrano leggere tra le sue dita, che non solo sono grandi data l'ampiezza della mano, ma anche curiosamente arrotondate al termine delle falangi, appiattite, come se appartenessero a qualcuno solito ad usarle per un lavoro pratico, non certo ad un medico.
- Vedo che avete scelto tre colori per contraddistinguerli, rosso, blu e verde: chi li ha decisi, tu o Jane? - Mi chiede invitandomi a sedere su una grande poltrona in pelle rosso scuro. Ha lo schienale alto, lo raggiungo a malapena con la testa, e quasi ci sprofondo dentro sedendomici, ma non è un affondare: è più come essere accolta, affettuosamente, tra i due braccioli borchiati, quasi fossero i petali di un fiore che si socchiudono per permettere ad un'ape d'attingere al suo nettare, e poi la circondano dandole protezione mentre si nutre tranquillamente, senza timore.
- Io, li ho scelti io: mi parevano i più appropriati a dire il vero, non so, è stata più che altro una decisione impulsiva, non credo sia molto importante... o si ? -
Si siede sul divano di fronte a me, abbassa leggermente le spalle, come a volersi rimpicciolire, i suoi occhi ora sono allo stesso livello dei miei, e stavolta non posso fare a meno di incrociarli, così noto che alla luce soffusa della stanza appaiono più scuri, profondi e mi ricordano il blu dell'anice che mia madre usava quando preparava i biscotti di Natale.
- Potrebbe esserlo, vedremo, forse inconsciamente c'è qualcosa che ti ha fatto preferire il rosso per il sogno dell'alba, il blu per quello greco e il verde per quello ... dunque, in Francia, giusto? -
- Si, così credo, a dire il vero l'ultimo è quello che faccio più di rado, infatti ci sono meno particolari descritti, l'unico riferimento che ho è che sento parlare in francese -
Riprende a scorrere velocemente le pagine del quaderno ed io approfitto per osservare la parete alle sue spalle: quel poco spazio che non è occupato dalle librerie è privo di quadri, solo un vecchio orologio a pendolo dalla cassa di legno, la pergamena che attesta la sua laurea incorniciata con un sottile bordo dorato e un calendario con le immagini di dipinti paesaggistici.
- Bene, direi che possiamo cominciare adesso – richiude il quaderno e dopo averlo poggiato sul tavolino accanto al divano, incrocia le mani e mi guarda
– Sei tranquilla? Rilassata? -
Vorrei rispondere che lo sono e confermare il movimento d'assenso che il mio capo accenna, ma poi la mia voce mi tradisce e rispondo sincera – No, affatto, mi sento tesa come la corda di un violino che ha appena eseguito un pezzo di Paganini -
Mi sorride e in batter d'ali son già più a mio agio; prendo un respiro profondo e riesco a sorridergli anch'io
- Ok, sono pronta: cosa devo fare? -


Cap. 4


Non ho mai scalato una montagna.
Non ho idea di cosa si provi ad arrampicarsi lungo la parete scoscesa di un dirupo, le mani che s'insinuano in ogni feritoia della roccia, in ogni possibile punto d'appiglio che permetta a colui che sfida la gravità, di raggiungere l'agognata vetta. Credo però, che la sensazione sia molto simile a quella che sto vivendo io ora: solo che è rovesciata.
Perchè è come se stessi lentamente scivolando, srotolando a dire il vero, mentre discendendo lentamente, senza scossoni, lungo il bordo di un crepaccio che affonda nell'oscurità: ma non provo timore perchè mi sento salda, ancorata, come avvolta da una corda che dolcemente mi sostiene mentre con calma mi lascio scivolare sempre più giù.
Alzo lo sguardo verso la luce che dall'alto incombe, e lo vedo: vedo Richard che mi guarda mentre mantiene salda la corda che mi sostiene, e mi parla, calmo, fermo, sicuro.
Brava, continua così, non temere, io sono qui e non ti lascio. Prosegui. Parlami -
Se avesse avuto una voce diversa, credo che non sarebbe mai riuscito ad ottenere lo stesso risultato, perchè è la sua voce che mi ha portata fin lì: è la sua voce che senza che nemmeno me ne accorgessi, mi ha fatto rilassare, sciogliere quasi, nel morbido abbraccio della poltrona dove sedevo un attimo fa, dove il mio corpo ancora si trova, mentre la mia mente segue il percorso lungo il quale le parole di Richard mi accompagnano; è la sua voce che mi ha guidato mentre attraversavo il sottile velo che separava la mia coscienza dall'anticamera del sogno; è la sua voce che ha dato corpo a quello scenario e che mi guida, adesso, mentre mi avventuro fino all'ingresso di un cancello immaginario.
Me lo descrive lui, una grande porta di ferro che riesco ad aprire semplicemente spingendola col pensiero, e che adesso mi permette di vederle: tre, tre porte di legno, davanti a me.
Una rossa, una blu, una verde.
- Come ti senti? -
- Bene -
- Perfetto. Ora avvicinati alla porta che si trova più vicina: dimmi, qual è ?-
- La verde -
- Cerca di aprirla: ci riesci? -
- No. Non riesco, è come se fosse bloccata -
- Non importa, prosegui; cosa c'è dopo? -
Mi sposto leggermente, mi ritrovo davanti alla porta blu, ma anche stavolta non riesco ad aprirla. La voce di Richard mi guida davanti alla porta rossa. La sospingo appena e quella si apre senza problemi e subito la luce accecante del sole mi colpisce, costringendomi a socchiudere gli occhi.
- Raccontami, parlami Margaret: dimmi tutto quello che vedi, quello che senti. Apri gli occhi -
Ed io li apro.
- E' bellissimo. E' una valle, così sembra almeno, è così verde, luminosa; ci sono boschi, colline lussureggianti, è come svegliarsi nel regno delle fate. E' la mia casa, la mia terra, è meravigliosa -
- Chi sei? - mi volto verso la voce che mi ha posto la domanda e vedo Richard, lì accanto a me: non sono sola questa volta, lui è lì vicino, con me, ma vede e sente solo quello che io gli descrivo, così mi avvio verso un piccolo bacino d'acqua e guardo il mio riflesso nello specchio limpido
- Sono una ragazza, giovane, molto giovane, ho i capelli rossi, gli occhi verdi: sono bella, molto ...-
- Chi sei ? - insiste ancora, così cerco risposte in quell'immagine che l'acqua mi rimanda, in quel bel viso che so appartenermi anche se non sono io e trovo le risposte che cerco.
Mi chiamo Rowan e questa è la mia terra, la terra dove da decenni vive il mio popolo: siamo Celti -
- Cosa fai qui Rowan? Raccontami. - Richard insiste, la sua voce è sempre calma, ma ha un tono autoritatio, è perentoria: sento il bisogno di dargli delle risposte, così le cerco e le trovo.
- Ho un appuntamento, laggiù, qualcuno mi aspetta, guarda – gli indico il fondo della valle, dove il prato cede il passo ai primi alberi del bosco limitrofo, c'è un ragazzo che mi aspetta. E' quasi un uomo, alto, biondo, sorride mentre mi corre incontro e mi solleva felice prima di abbracciarmi e baciarmi.
- Chi è Rowan? -
- E' Niall, è l'uomo che amo, è l'uomo che sto per sposare. -
Ho il cuore pieno d'amore, il mio animo è talmente leggero, felice, che non rammento nemmeno da quanto tempo non mi sentivo così bene. So che ci amiamo praticamente da sempre, da quando poco più che bambini correvamo dietro alle lepri, da quando ci siamo arrampicati la prima volta su uno spuntone roccioso per guardare da vicino il nido di un falco e poi Niall ha raccolto per me le bacche più grosse e succose da un cespuglio di more, incurante degli spini, per farmene dolce regalo.
- Cosa succede oggi ? Parlami - devo rispondere a Richard, che è sempre lì, accanto a me, così cerco nella mia mente le risposte.
- Stiamo andando da mio padre: oggi Niall mi chiederà in sposa – mi volto verso Richard, sorridendo gli spiego – E' una formalità, mio padre mi ha già dato il consenso, so che questo matrimonio è ben voluto dalle nostre famiglie. Guarda -
Mi volto e gli indico il nostro villaggio – Vedi? C'è mio padre, laggiù, mi aspetta accanto a Nudd, il druido del villaggio: anche lui ha benedetto la nostra unione, ha detto che questo matrimonio è ben voluto dagli dei. Servirà a sigillare un patto d'alleanza tra i nostri clan, noi i Torvill, loro i Gwynedd. Ora Niall sta formulando la sua richiesta, chiede a mio padre e a suo padre che è lì accanto, il permesso di prendermi in sposa e quando loro acconsentono tutto il villaggio esulta e festeggia con noi. E' un giorno di grande felicità per tutti. -
Guardo Richard, mi sento radiosa per tutta quella gioia e quell'amore che sento nel cuore e poi lo vedo, proprio dietro di lui: la figura, alta, nera, è accanto a Niall e a suo padre, sorregge lo stendardo della casata dei Gwynedd, un arazzo dorato con una rosa rossa ricamata al centro.
E ho freddo, ho paura, mi sento sbiancare.
- Chi è ? Parlami, spiegami Rowan, perchè sei così spaventata ora? - Richard insiste, non voglio rispondergli, ma insiste.
- E' il fratello di Niall, Bran: non mi piace, mi spaventa... mi inquieta il modo in cui mi guarda. E' freddo adesso. Il sole è scomparso, tutti sono scomparsi. C'è solo nebbia. E' come nei sogni, la stessa nebbia che trovo ogni volta... ho paura -
- No non avere paura, ci sono io qui, non hai nulla da temere – Mi aggrappo alla voce di Richard come se fosse la corda che mi sostiene, mentre appesa comincio a vacillare.
Torno a fissare la figura che m'incute timore e vedo la rosa ricamata sull'arazzo che comincia a sanguinare, una macchia rossa vivida che si spande sull'oro dello stemma, poi quel sangue è anche su di me, appare sulla mia veste e mi ritrovo le mani grondanti e sento la mia voce che urla terrorizzata.
E poi sento lo strappo, una forza che mi solleva mentre l'urlo mi implode dentro, come un cristallo che si frantuma ma verso l'interno, dentro di me: mi manca l'aria, soffoco, come se avessi un sacchetto di plastica in testa.
Mille schegge mi trapassano, poi improvvisamente respiro, sento l'aria che spinge forte per entrare nei miei polmoni, ed io respiro... respiro ....


- Respira! Margaret! Respira! -
Adesso la sento, sento l'aria. Entra dentro di me calda, morbida, è dolce. Ma non è solo aria, è un respiro, un soffio. Apro gli occhi. C'è Richard chino su di me, ed è lui che soffia l'aria nei miei polmoni, e solo per un istante le mie labbra si schiudono nelle sue.
- Cosa è successo? - mi gira la testa, fatico a mettere a fuoco, mi sembra che centinaia di stelline abbiano deciso di dare un party nella mia testa.
- Sei andata in apnea, per un attimo confesso che mi hai spaventato, sai? Non mi era mai capitato di vedere un coinvolgimento simile durante una seduta –
Lo guardo: è così vicino che posso notare le sfumature bianche che si nascondono tra i riflessi della barba rossiccia; si è preoccupato davvero...
Poi la mia dea interiore si fa improvvisamente sentire e mi rammenta che pochi istanti prima lui mi stava facendo la respirazione artificiale, che la sua bocca era sulla mia, ed io divento rossa come una melagrana matura.
- Potrei avere un pò d'acqua per favore? - Cerco di darmi un contegno mentre lui si affretta a prendermi un bicchiere che subito riempie con l'acqua di una caraffa che si trova sulla sua scrivania. Bevo lunghi sorsi ed intanto sbircio i suoi movimenti mentre dall'altra parte della scrivania comincia a buttar giù degli appunti su un'agenda di pelle nera.
- Dovremo cambiare il tipo d'approccio a questi tuoi sogni – parla senza alzare lo sguardo dall'agenda, continuando a scrivere, il capo chino, ed io mi scopro incantata a fissarlo.
Non so perchè, ma adesso si che ho la netta sensazione d'averlo già incontrato, come un déjà vu a scoppio ritardato: qualcosa nel modo che ha d'abbassare lo sguardo nel momento in cui comincia a scrivere, mentre io continuo a fissargli il capo, i ricci appena accennati sulla fronte, la nuca.
- Cosa vorresti dire con cambiare il tipo d'approccio?- cerco di concentrarmi sulla seduta
- Voglio dire che d'ora in avanti faremo in modo che tu non sia così partecipe delle emozioni che provi durante questi viaggi; ci penserò io, la prossima volta, vedrai – mi guarda ora, incrocia le braccia sulla scrivania, è quasi paterno nel suo prendersi cura di me.
Non capisco perchè, eppure quest'uomo che conosco così poco e da così poco tempo, mi mette estremamente a mio agio, come se inconsciamente sapessi che di lui mi posso fidare: sono felice d'aver dato retta a Jane.
Rientro a casa sentendomi sollevata: malgrado l'esperienza del quasi-sogno sia stata molto forte, a me sembra d'esser più serena del solito. Ho salutato Richard dopo aver rifiutato un suo passaggio a casa, ma con la promessa di chiamarlo la mattina seguente per dirgli come ho passato la notte e mentre sto per chiudere il portoncino alle mie spalle, scorgo un movimento rapido, un fruscio d'ali nel buio della notte e mi trovo a domandarmi se non sia insolita la presenza di tutti questi corvi in città.
Fisso il soffitto quella notte, fatico ad addormentarmi e cerco di concentrarmi sul sommesso ronfare di Zoe, che arrotolata come suo solito vicino al mio cuscino, pare invece dormire profondamente: anzi, forse sta persino sognando, perchè talvolta la sua pelliccia ha un fremito, un tremore che la scuote tutta: forse immagina di rincorrere un passerotto.
Mi torna in mente il volto della fanciulla riflesso nell'acqua, così giovane, così felice: condividere con lei quel sentimento mi ha lasciato una grande dolcezza in fondo al cuore. Dopo tanto soffrire nei suoi panni, tutte le volte che l'ho sognata, spaventata e ferita, finalmente stasera ho provato assieme a lei una sensazione meravigliosa, di quelle che ti fanno ringraziare il cielo d'esistere, una di quelle emozioni che letteralmente ti sparano in vena un' energia incontenibile: la consapevolezza che se sei in grado di amare così tanto, allora puoi veramente riuscire a fare qualsiasi cosa, puoi davvero toccare il cielo con un dito se è quello a cui aneli, puoi fare quello che desideri di più, puoi fare qualsiasi cosa...
E' un sonno privo di sogni quello che finalmente mi raggiunge e mi avvolge, un sonno profondo e ristoratore, che al mattino successivo mi fa risvegliare cosciente della mia vitalità, quasi avessi ancora vent'anni, tanto che mi alzo senza troppi indugi, allegra e carica di energia, e decido di fare finalmente le tanto rimandate pulizie dell'appartamento, compresi i vetri da pulire, prima che le prossime piogge li rendano talmente opachi da non far passare quasi più il benchè minimo raggio di sole.
Mentre aspetto che l'acqua per il tè si riscaldi, chiamo Amanda come promesso.
- Buongiorno! Allora, com'è andata ieri sera? Io e Jane ci stavamo giusto chiedendo quando ci avresti chiamate... racconta dai! -
Mi occorre più di mezz'ora per illustrare tutti gli avvenimenti della serata e, omettendo tutto quello che si riferisce alle mie osservazioni personali su Richard, faccio sobbalzare entrambe le mie amiche con il resoconto delle rivelazioni del sogno dell'alba.
- Davvero eri una giovane ragazza celtica? E bella pure! Ti pareva... con un promesso sposo da sballo: non ti sei fatta mancare niente davvero! - Le battute di Amanda si alternano a quelle di Jane, che pare però più interessata al risvolto drammatico del sogno – Allora la paura che provi nei tuoi sogni dipende da quell'altro uomo? Il fratello di Niall, giusto? -
- Penso di si, o almeno la sensazione che ho avuto vedendolo non è stata certo piacevole, anzi, è come se in un attimo avesse calcellato tutta la gioia che provavo nello stare vicino al mio futuro sposo. Comunque dì pure ad Amanda che sì, il mio fidanzato era un gran bel figliolo, assomigliava all'attore che interpreta Finnick in Hunger games tanto per avere un'idea.... -
- Ma vergognati! - è la risposta urlata da Amanda all'altro capo del telefono, e così finiamo col ridere e scherzare, discutendo sui attori vari che ci piacciono e che ci provocano strani rimescolamenti allo stomaco, lei da sempre perdutamente innamorata di Ralph Fiennes, io sempre più convinta che se mai un giorno dovessi incrociare Benedict Cumberbatch potrei davvero svenire ai suoi piedi.
Tutto questo parlare di attori mi fa tornare in mente che l'indomani devo portare un primo elenco di trame interessanti a Steven Copland, quindi concludo la telefonata e dopo essermi infilata una comoda e calda tuta felpata, mi accingo a pulire le benedette finestre armata di alcool e pagine di giornale.
Sono alle prese con la chiusura della veranda del retro cucina, la quale come al solito s'incastra sempre quando l'aria comincia a farsi più fredda, quando mi sovviene che ancora non ho chiamato Richard per dirgli come ho passato la notte.
Rimango qualche minuto col cellulare in una mano e il suo biglietto da visita nell'altra: cosa faccio? Lo chiamo? Oppure mi limito a mandargli un messaggio? Mi decido per la telefonata: è più personale di un messaggio che, a mio parere, è utilissimo quando hai fretta di comunicare qualcosa, ma rimane molto asettico, distaccato; invece chiamandolo posso godermi il piacere della sua voce, e la cosa, confesso a me stessa, non mi dispiace affatto, anzi.
- Pronto, Margaret, buongiorno, come stai? - mi risponde subito, sa già che sono io: ha il mio numero nella memoria della rubrica allora... la mia dea interiore mi dà una gomitata allo stomaco.
- Bene, grazie, ho dormito tranquilla stanotte, nessun sogno. Mi sento in gran forma oggi, davvero -
- Fantastico, sono proprio felice di sentirtelo dire: ero un poco preoccupato dopo aver visto come hai reagito ieri sera, ma ti assicuro che non accadrà più, faremo diversamente la prossima volta. Anzi, volevo giusto chiederti se ti va di tornare questa sera: te la senti di provare un'altra volta? -
- Si, certo, ne sarei felice: facciamo al solito orario? -
- Perfetto, allora ti aspetto. A stasera, ciao -
Ho ancora il cellulare in mano e fisso lo schermo mentre la chiamata è già terminata da qualche secondo: ho accettato d'impulso. E' vero sono felice all'idea di fare un'altra seduta e mentre finisco di pulire l'ultima vetrata, cerco di convincermi che il mio entusiasmo derivi dalle scoperte della sera precedente, dal desiderio di riprovare quella meravigliosa sensazione di felicità che ho condiviso con la fanciulla dai capelli rossi e dalla curiosità di scoprire perchè mai quella figura alta e scura, il fratello di Niall, mi abbia spaventato così tanto.
Si, davvero: è per quello che sono così felice di andare nuovamente da Richard stasera, davvero....
Davvero?
Mangio pochissimo a pranzo, non ho molta fame, però passo diverse ore a preparare con cura il file da sottoporre a Steven l'indomani, e tra un romanzo gotico pseudo fantasy, e una storia d'amore ambientata alla fine del secolo scorso, mi divoro almeno una decina di clementini profumati, alternandoli ai gherigli di noce e noccioline che da sempre sono i miei frutti preferiti, tanto che mio padre, un tempo lontano, mi chiamava "greedy squirrel", scoiattolo ingordo.
E' quasi sera ormai quando ho finito di preparare tutto il materiale, ma sono molto soddidsfatta: sono convinta che tra tutte le storie di vari generi che ho messo insieme, si possa trovare quasi sicuramente un valido spunto per trarne un'ottima sceneggiatura, e sicuramente Steven avrà nel suo staff delle persone in grado di realizzare una bella trama, quella storia coinvolgente che, mi ha spiegato, sta cercando di realizzare già da qualche anno. Mi accorgo soltanto ora che ha cominciato a piovere: figuriamoci, ho finalmente pulito i vetri oggi, poteva non piovere?
Il tempo per una doccia veloce e poi decido di dedicarmi alla preparazione di una torta piuttosto che alla cena, così le prossime mattine potrò gustarmela con piacere assieme al tè della colazione. Mentre la ricetta della torta al cioccolato di mia madre, semplice ma assolutamente deliziosa con il tè, sta dando i suoi profumati risultati dentro il forno, mi concedo il lusso di dedicarmi al mio aspetto e, cosa rara per me, mi ritrovo già ben per la seconda volta in una settimana, a rendere più piacevole il mio volto con un leggero tocco di fard sugli zigomi, una sfumatura di verde sugli occhi, un accenno di mascara e di lucidalabbra. Mi piace il risultato, mi piaccio così come appaio nel riflesso dello specchio e mi piace anche il profumo della torta ormai pronta.
Decido d'impulso di portarne una parte a Richard, così almeno potrò sdebitarmi per il tempo che mi dedica: dopotutto si è rifiutato di farsi pagare anche una minima parcella per il suo disturbo e non mi piace tornare da lui a mani vuote. Speriamo gli piaccia il cioccolato.
Quando arrivo da lui, alle nove meno due minuti, ha già cominciato a piovere forte, tanto che ho dovuto prendere l'auto per andare all'appuntamento e per riuscire a trasportare metà della torta al cioccolato, che per inciso è venuta proprio bene, senza correre il rischio d'inzupparla sotto quella pioggia battente.
Purtroppo il tratto che devo percorrere prima di poter suonare al suo campanello, è sufficientemente lungo da rendermi praticamente fradicia come un pulcino dalla vita in giù, così quando Richard mi apre la porta per farmi entrare, quasi mi scaravento dentro, e il piccolo tappetino che c'è all'ingresso si ritrova nel giro di poco ad assumere l'aspetto di una spugna inzaccherata.
- Oddio, mi dispiace, ti sto allagando l'ingresso! -
Non so proprio da che parte girarmi: lascio l'ombrello nell'apposito vaso accanto alla porta, e poggio la scatola dove ho messo la torta su un piccolo tavolino sul quale sono distrattamente poggiati due mazzi di chiavi e un paio di occhiali dalle lenti scure, e mentre Richard mi aiuta a togliermi il cappotto miracolosamente asciutto fino ai fianchi, mi rendo conto che sono in uno stato pietoso: altro che leggero tocco di mascara, devo essere un vero disastro...
- Non preoccuparti è solo acqua, piuttosto, non puoi restare così, vieni, accomodati in bagno. Intanto vedo cosa posso darti da mettere mentre i tuoi abiti li possiamo stendere davanti al caminetto ad asciugare -
Lo seguo mentre mi conduce in un piccolo bagno sulla sinistra, appena dopo la scala che conduce al piano superiore, dove presumo ci sia il suo appartamento.
Mentre aspetto che torni portandomi qualcosa con cui possa coprirmi in maniera perlomeno dignitosa, tolgo gli stivali, che quasi gemono da quanto sono fradici, e mi siedo su uno sgabello accanto al lavello, cercando di sfilare i gambaletti che si sono attaccati come ventose ai miei polpacci. Quando torna, Richard mi allunga quel che di comodo ha potuto trovare e che si possa adattare a me: una calda vestaglia in pile blu scuro, e un paio di lunghi calzettoni a coste grigi. Sono talmente grandi che mi trovo ad immaginarli appesi, la notte della Vigilia, sopra l'architrave di un caminetto, in attesa d'essere riempiti di caramelle, cioccolata e altri dolciumi: così capienti farebbero la gioia di qualsiasi bambino. Per mia fortuna, invece, in quel momento servono giustappunto a coprirmi le gambe fin sopra le ginocchia.
Prima di raggiungerlo, dopo essermi infilata la vestaglia che stringo bene in vita, riesco anche a darmi una veloce occhiata allo specchio posto sopra il lavandino e con sollievo noto che sono abbastanza presentabile, solo un pò di sbavatura di mascara che tolgo con l'aiuto di una salvietta umida: temevo peggio.
Nel suo studio Richard ha spostato un paio di sedie davanti al caminetto, dove scoppietta allegramente un bel fuoco che scalda ampiamente tutta la piccola stanza: così cerco di sistemare alla meglio sulla spalliera delle sedie il jeans, che da grigio ha virato al nero tanto è impregnato di pioggia, i gambaletti, la camicia bianca che ha miracolosamente mantenute asciutte le maniche, e il dolcevita che avevo infilato nel jeans, e quindi non ha potuto salvarsi da un destino simile a quello della camicia.
- Ti ho preparato una tazza di tè caldo – mi allunga una mug piena fin quasi l'orlo di un profumato tè già macchiato col latte.
- Grazie! Proprio quello di cui ho bisogno per tornare ad una temperatura umana! - lo prendo sorridendo dalle sue mani e noto che anche lui mi sorride di rimando, poi, solo per un secondo, il suo sguardo scende lungo il mio collo dove l'incrocio della vestaglia lascia poco spazio alla fantasia, e subito lo devia per concentrarsi sulla sua agenda, mentre io cerco contemporaneamente di aggiungere lo zucchero al tè, chiudere maggiormante la vestaglia e sedermi sulla comoda poltrona che ho sperimentato la sera precedente.
Il risultato è goffo, ma porto a termine tutte e tre le imprese senza far danni; quindi mi accomodo sulla seduta incrociando anche le gambe, così con la vestaglia riesco a coprirmele meglio.
- Bene... – si schiarisce un attimo la voce prima di parlare – stasera procederemo come ieri, ok? Però questa volta voglio che tu faccia da spettatrice allo scenario che mi descriverai, hai compreso cosa intendo? -
Annuisco mentre lascio che grandi sorsi di tè caldo raggiungano il mio stomaco donandomi una piacevole sensazione di calore che raggiunge ogni parte del mio corpo – Si, ho capito, sarà come esserti accanto mentre guardiamo la stessa scena -

- Bravissima, hai capito perfettamente. Allora: quando vuoi. -


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