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martedì 13 maggio 2014

I sogni di Margaret,  cap. 5


 Il mio romanzo da oggi ha una sua copertina: non potevo tralasciare questo particolare, quindi con soddisfazione condivido con voi la creazione di questa immagine!

 Spero  che la lettura vi soddisfi, così per arrivare a concludere questa settimana vi aggiungo altri tre capitoli e così vediamo cosa succede quando nella già movimentata routine di Margaret s'intromette un altro personaggio stranamente interessato a lei...


Ho modificato questo post perchè il libro sta cominciando a farsi conoscere e ad ottenere i primi risultati!
Per ora mantengo il link con il collegamento ad Amazon, ma presto farò delle variazioni, perchè sto vedendo di promuoverlo diversamente...
Vi terrò aggiornati!





 " Margaret continua le sue sedute col dottor Hamilton e i suoi sogni diventano sempre più chiari, più ricchi di particolari; però, a quanto pare, questi sogni iniziano ad influenzare sempre di più anche la sua vita reale, infatti la donna rischia di compromettere persino la sua salute ogni volta che si immerge in essi...
 E Richard come si comporta in questo frangente?
 O meglio: cosa nasconde Richard nel suo passato? Cosa incuriosisce Margaret tanto da spingerla a fare ricerche su di lui? 
 E poi adesso c'è anche Steven, il produttore cinematografico che a quanto pare non cerca Margaret solo perchè ha bisogno di lei per lavoro; le cose cominciano a farsi complicate, come si comporterà Margaret ora che è presa tra due fuochi?"






Cap. 5


Di nuovo.
Sono scesa, sono davanti al cancello di ferro che anche questa volta si apre senza problemi, si spalanca mi, lascia entrare e le tre porte sono lì, davanti a me.
- Quale porta vuoi aprire Margaret? - Richard è già li vicino a me, mi guarda calmo e paziente, ma non vede le porte così come le vedo io, guarda solo me, vede il riflesso delle mie parole.
- Sono davanti alla porta rossa, ma non si apre ora, è bloccata. Adesso sono davanti alla verde ...- allungo la mano, e la porta verde si apre senza problemi: socchiudo un attimo gli occhi, mi aspetto d'essere accecata nuovamente dalla luce del sole, invece no.
- Dammi la mano Margaret - mi volto a guardarlo, mi sta porgendo la mano ed io lascio che la mia sparisca nella sua, la stessa sensazione che ho provato quando per la prima volta gliela strinsi.
- Ora siamo entrambi spettatori. Guidami, raccontami Margaret: dove siamo? -
- E' quasi notte, il crepuscolo: siamo in edificio modesto, quasi fatiscente. Sento i lamenti di altre persone che non vedo, bambini che piangono, vecchi che tossiscono. Siamo in un corridoio, là in fondo c'è una piccola finestra; vieni andiamo a vedere – e lo trascino con me, stringendogli la mano, voglio guardare fuori dalle finestra, cosa c'è lì fuori?
Mi manca il sole del sogno precedente, speravo di ritornare lì...
- Cosa vedi Margaret? Parlami – ha una voce così dolce, morbida, dovrebbe essere lui a narrarmi una storia; invece sono io che racconto.
- La città è devastata, quasi abbandonata, è uno scenario tristissimo, la poca gente che vedo si nasconde o si trascina per i vicoli sporchi -
- Dove siamo ? -
- Siamo in Francia, a Douai. E' il 1712 e gli Spagnoli che ci hanno assediato ci hanno lasciati a morire di tifo ... Sto morendo, di tifo. Guarda, sono là -
Mi giro alla mia sinistra, una piccola porta ci fa accedere in uno stanzone sporco, per fortuna non sento gli odori, devono essere esalazioni di morte, putrefazione, malattia.
- Eccomi: quella vecchia laggiù, vedi? Sono su un giaciglio arrangiato sul pavimento - mi riconosco subito, non so perché - devo avere circa sessant'anni, ma forse è la malattia che m'invecchia. Sono stanca, così stanca: il dolore, Dio, quanto dolore, le mie mani, raggrinzite, le macchie scure del morbo che non hanno pietà della mia pelle. Voglio morire, Richard, voglio morire, ti prego... basta , basta dolore... -
- Ascoltami Margaret: senti la mia mano, si? - me la stringe forte, l'accarezza con entrambe le sue ora, il suo pollice si strofina nel mio palmo, e lo sento, sento quella sensazione di calore che riesce a trasmettermi e il dolore svanisce.
Resto io, e mi volto a guardarmi: sono accovacciata vicino alla vecchia che rantola, Richard accanto a me – Sei con me ora, fuori da tutto questo. Adesso, con calma, dimmi : chi sei? -
- Sono Emma, sono nata e cresciuta qui, in questa cittadina: vendo fiori, giù al mercato, lo faceva mia madre prima di me, ed io ho continuato dopo di lei: i fiori più belli e profumati di Douai, tutti conoscono i miei fiori... Si sta avvicinando una donna adesso, un ragazzo è con lei –
Mi volto a guardare la donna che si fa strada tra i corpi degli altri malati, non si cura della sporcizia, dell'aria mortale che alberga in quella stanza, viene diretta verso di me; un giovane che avrà a malapena vent'anni la segue, porta una piccola cesta piena di fiori, rose.
- Chi sono Margaret, puoi dirmelo ? - ancora la voce di Richard, che insiste ma senza forzarmi.
- Lei è Sophie, una mia vicina, mia madre ha tirato su anche lei assieme a me quando è rimasta orfana, è come una sorella. Lui è suo figlio, Albert: sono come una seconda madre per lui. Ha le mani sporche di vernice, no, sono colori ad olio: è un artista, un pittore. Lui ama dipingere i miei fiori, si: ha imparato a disegnare raffigurando le mie viole, i gladioli, le fresie. Ha appena completato il suo quadro più bello, mi dice che ha avuto talmente successo, che ora che finalmente la città è libera con i soldi ottenuti grazie a quel quadro lui e sua madre hanno un fututo assicurato. Ha le lacrime agli occhi, Albert: quanto è dolce quel ragazzo. Sono io il soggetto del quadro, mi ha ritratta in mezzo ai miei fiori, alle mie rose, le sue preferite: me le ha portate, guarda, guarda Richard ! -
- Si Margaret, le vedo. Le vedo grazie alle tue parole; cosa succede ora? Dimmi, racconta -
- Emma sta prendendo una bottiglietta dalla cesta. C'è un liquido dentro, opaco, fa per aprirlo, vuole farmi bere il contenuto; non capisco, Albert la trattiene, sta piangendo non vuole... -
Mi chino leggermente come se volessi accostarmi alle loro bocche per poter ascoltare meglio quel che dicono: è francese, si ,ma ora capisco, si capisco tutto .
- Sophie ha portato dell' aconito, è un veleno. Sono giorni che la supplico di porre fine alle mie sofferenze, non ce la fa più a vedermi così, sappiamo entrambe che non mi rimane molto, vuole aiutarmi. Ma Albert si rifiuta di accettare quel gesto, non vuole lasciarmi andare, cerca di convincere ancora la madre, dopo tanti tentativi, ancora cerca di farle cambiare idea: mi vuole bene, come a una madre, forse anche di più. -
Lo guardo, Emma lo guarda, e con quella poca luce vitale che mi rimane ancora, lo convinco che solo così potrà rendermi felice, solo così potrà liberarmi – "Ti prego, Albert ... ti prego ..."-
Mi volto verso Richard, lo guardo, lo vedo quasi tremolante tra le lacrime che adesso mi riempiono gli occhi, non riesco a trattenermi: sono così triste, così triste ...
- Ha capito: si, adesso Albert ha capito. E' lui che apre la bottiglietta, mi abbraccia incurante della repulsione verso la malattia: appoggia sulle mie labbra il flaconcino e lentamente lascia che io beva il liquido amaro. Mi continua a sorreggere mentre il mio corpo devastato sussulta, mi parla dolcemente all'orecchio, una vecchia filastrocca che gli narravo quando era bambino; adesso una smorfia di dolore mi compare sul viso, ma poi sono serena, gli sorrido debolmente, sono libera. Ma lui non si dà pace, e piange, piange talmente tanto: io... io non credevo mi volesse così bene... io non lo sapevo... -


Mi lascio andare anche io ad un pianto dirotto, mentre Richard mi abbraccia, mi consola massaggiandomi la schiena con quelle mani grandi e calde; lascia che le mie lacrime gli bagnino la spalla e siamo di nuovo nel suo studio, sulla poltrona, io in braccio a lui mentre mi culla dolcemente come una bambina che si è risvegliata da un brutto sogno. Sento la sua barba tra i miei capelli e non vorrei andarmene più da lì; voglio restare così, ancora, rannicchiata nell'incavo del suo braccio, accovacciata come un cucciolo che cerca riparo, perchè mi sento così al sicuro adesso.
Riesco a fermare i singhiozzi e lo guardo: ho le guance rigate dalle lacrime e penso che probabilmente devo avere un aspetto orribile: il mascara sarà colato senza ritegno, mi sento gli occhi gonfi, mi bruciano , ho il volto in fiamme, persino le orecchie mi paiono tizzoni ardenti.
Non diciamo nulla. Il mio viso è a pochi centimetri dal suo, con la mano sposta una ciocca dei miei capelli che aderisce al mio viso, le lacrime che la trattengono come una colla.
Io dentro quegli occhi credo che potrei perdermi, invece provo qualcosa di diverso quando mi soffermo con i miei nei suoi: non mi ci perdo...mi ci trovo.
E' una sensazione incredibilmente appagante, un sollievo, come quando aneli disperatamente a raggiungere uno scopo o un riparo durante una tempesta: una barca alla deriva che finalmente riesce ad ancorarsi in un porto sicuro, una rondine travolta dalla forza del vento che riesce ad infilarsi in un anfratto evitando la furia che fuori la travolge: è come tornare a casa dopo un lungo viaggio, dopo un vagare senza mèta, senza scopo, senza pace.
Lo vedo avvicinare la bocca alla mia, desidero con tutte le mie forze che mi baci, ti prego, fallo: invece è sulla mia fronte che poggia le sue labbra, delicatamente, sono fredde.
- Stai bruciando Margaret, hai la febbre -
- Cosa?... io... no, non mi sento bene... -
Al rogo: se fossi una strega al rogo probabilmente mi sentirei così. Improvvisamente prendo coscienza del mio corpo e mi scopro avvolta dalle fiamme di un fuoco che mi brucia dentro, non solo il viso, ma tutto il mio corpo è come se si fosse trasformato in un falò che mi arde nello stomaco, nel petto, sale lungo il collo, striscia alla base del mio cranio per poi risalire, come una radice che si spande finchè non avvolge completamente tutta la mia testa, s'insinua nel mio cranio e dilaga ovunque, raggiungendo ogni più piccolo anfratto della mia testa.
A malapena mi rendo conto del tremore incontrollato delle mie labbra, fatico a parlare: - Richard.... Ri... Richard.... -
Non riesco più nemmeno a mettere a fuoco il suo volto, ma ho la sensezione d'essere sollevata, come se non pesassi più di un sacco di farina. Mi sento trasportare, di corsa, su per una scala. Percepisco appena le sue parole, ascolto ma non comprendo: ho male al collo, tanto male, lo sento irrigidirsi come se stesse diventando di pietra.
- Margareth ..... hai le convulsioni ... Cristo santo!... Bruci, scotti troppo, troppo...!-
Il rumore dell'acqua, quello lo sento, qualcuno deve aver aperto un rubinetto: scroscia forte e intanto vagamente mi rendo conto che mi stanno togliendo la vestaglia, i calzini...
Mi sento scivolare, dolcemente, ma senza che mi lascino del tutto: sento l'acqua che a poco a poco mi ricopre, le gambe, il ventre, la schiena; però non mi lasciano andare del tutto. Sento la forza delle braccia che mi sorreggono la nuca, il mento e mentre l'acqua che a malapena percepisco fresca raggiunge il mio torace e mi ricopre il seno, cerco di capire cosa sta succedendo, chi mi sostiene...? Richard? Li vedo i suoi occhi...si... è lui... no, forse.. ma non sembra lui...


" Sono occhi azzurri come il ghiaccio sciolto, come il cielo riflesso in un lago di montagna, come i 'non ti scordar di me' che crescevano nel giardino di mia mamma... e sono anche lame d'acciaio: sono gli occhi di Bran che mi guardano adesso, occhi tristi, freddi, occhi confusi, sconvolti ...
E' lì, davanti a me, se riuscissi ad alzare una mano potrei sfiorarlo, lo so. Potrei scostagli quel ciuffo di capelli corvini che gli è scivolato sul viso: è ferito, lividi violacei gli segnano il volto, un taglio gli attraversa sanguinando il sopracciglio.... sembra sconvolto... io, non capisco...perchè mi guarda così? Poi abbassa lo sguardo ed io seguo il suo e la vedo, vedo la lama che affonda nel mio ventre, la sua mano che impugna l'elsa della spada che ha conficcato nella mia carne, il sangue, tutto quel sangue... il mio sangue, il mio sangue sulle sue mani.
Poi il suo grido, un urlo disperato, come il verso di un animale stretto nella morsa di una tagliola che gli lacera la zampa. - No! .... Nooooo! -"


Spalanco gli occhi sobbalzando.
Sono stesa in un letto che non conosco, ma non è un sogno ora. Sento lenzuola fresche profumate di bucato, sento il morbido peso di un piumino che ricopre il mio corpo. Non brucio più ora: sono dolorante, si, come se avessi percorso una maratona estenuante, i muscoli tesi, contratti, gli occhi mi pizzicano ancora, li sento acquosi.
Cerco di mettere a fuoco l'ambiente, c'è poca luce. Prima noto il cassettone a fianco del letto, sembra di ciliegio, scuro comunque, lineare, moderno: sopra c'è una cornice con una foto che non riesco a distinguere, tre, quattro libri impilati uno sopra l'altro, un calice con un dito di liquido scuro dentro, vino forse. Giro lentamente la testa: ai piedi del letto la parete è coperta da un lungo armadio dalle ante scorrevoli, una poltrona con sopra qualche indumento appoggiato lì con noncuranza; accanto un tavolino con una piccola lampada, ancora libri, tanti, sistemati un pò alla rinfusa, l'unico punto disordinato in tutta quella semplicità. Dalla finestra, attraverso le tende socchiuse, filtra una debole luce, dev'essere quasi l'alba; sta ancora piovendo, non forte come la sera prima, ma ancora sento, insistenti, le gocce di pioggia che tamburellano sui vetri, sembra quasi stiano intonando una ninna nanna.
Pioggia...
Quanto pioveva la sera prima? Mi torna in mente tutto... La pioggia, io fradicia che allago l'ingresso, la torta: ho lasciato la torta sul tavolino dell'ingresso, mi sono dimenticata di darla a Richard...! Che pensiero sciocco adesso... ma dov'è Richard?
Mi volto sulla schiena, sento il mio corpo che affonda appena nel materasso morbido, il mio peso scivola di qualche centimetro indietro e si blocca contro qualcosa di massiccio, caldo.
E' lui, Richard, è lì, vicino a me: io sotto le lenzuola, mi accorgo ora che indosso solo una lunga camicia, sembra flanella; lui accanto a me, sta sopra il piumone, solo una coperta sulle gambe che lo copre fino alla vita, le maniche del maglione che indossava la sera prima arrotolate fino al gomito. Mi soffermo a guardarlo, la linea delle sopracciglia, due virgole folte sulle palpebre abbassate, la curva della mascella, forte ma al tempo stesso morbida, non troppo squadrata se non fin quando giunge sotto l'orecchio e allora piega di scatto, verso l'alto, in quel punto dove la barba si confonde un attimo con la basetta, davanti alla piega del lobo.
Comincio a mettere a fuoco qualche ricordo: il sogno, la febbre, il fuoco che mi divampa dentro: e poi Richard, preoccupato. Mi ha portata al piano di sopra, mi ha immersa in una vasca d'acqua fredda, tamponata finchè la temperatura del mio corpo non è scesa. Fossi stata sola in preda a quel delirio infernale, non lo so se sarei sopravvissuta...
Resto immobile, così, a guardarlo: fatico a credere che fino ad un paio di settimane prima la mia vita procedesse come al solito, con il suo noioso tran tran quotidiano, le mie serate con Amanda e Jane, i libri, il cinema... E adesso?
I sogni che tornano a popolare le mie notti agitate, Jane che vuole usarli come argomento di laurea e Richard, il suo insegnante, che sembra comparire al momento giusto, che si offre di aiutarmi, che entra a far parte della mia vita come se fosse la cosa più normale del mondo, quasi scontata, sin dal primo momento che ci siamo incontrati.
Se penso che ora sono lì, nel suo letto, che siamo così vicini, quasi intimi anche se ancora sconosciuti, falsi amanti quando ci uniamo per spiare vite di altri nei sogni, uniti nelle nostre menti, stranieri nelle nostre realtà...
Devono avere un peso i miei pensieri: sospira, apre gli occhi, mi guarda.
Tocca la mia fronte, il mio viso, il polso. - Come ti senti ora? - noto appena un tremolio nel suo tono di voce: era davvero preoccupato stanotte, si è spaventato?
- Come se mi fosse passato sopra un tir... - mi accorgo d'avere la voce un pò afona – cosa mi è successo? -
- Credo che la pioggia che ti sei presa ieri sera ti abbia provocato un raffreddamento con i fiocchi: ho davvero temuto di non riuscire ad abbassare la temperatura del tuo corpo, nel giro di poco bruciavi come una torcia -
- Ho sognato ancora Richard – lo dico così, di getto – ho sognato Bran che mi uccideva -
Di nuovo mi accarezza il volto, ma stavolta non è per sentire se scotto.
- Così adesso c'è anche un omicidio: non ti fai mancare nulla Thompson, non c'è che dire, quando muori lo fai in grande -
Sorrido: non posso che pensarla come lui.
Gli racconto i particolari, l'aspetto di Bran, le sue ferite, le mie, la spada. Mi ascolta senza commentare.
- Non capisco Richard, davvero... che senso ha tutto questo? Perchè sempre gli stessi sogni? Perchè sempre le mie morti? Cosa vuol dire, devo capire qualcosa? -
- Tranquilla, vedrai, ne verremo a capo. Te lo prometto -
- Sono nuda Richard –
Arrossisce stupito alle mie parole – Ti ho messo qualcosa di asciutto dopo che ti avevo immerso nella vasca... Dio Margaret, sono un medico... non penserai mica... -
- No no, non mi riferivo a quello! - ho parlato senza pensare, mi riesce difficile essere razionale accanto a lui: ho un atteggiamento insolito nei suoi confronti, lo riconosco. Talvolta ho come l'impressione di leggere un libro che già conosco, mi sembra d'aver ristrovato un vecchio amico d'infanzia, qualcuno che mi conosce come il palmo della sua mano, che mi capisce al volo, con cui posso parlare senza remore. Altre volte mi sembra di osservarlo come fossi ai piedi di una montagna, io in basso, lui lassù, a guardare orizzonti che non conosco, distante anni luce anche se a pochi metri da me.
Volevo dire che mi sento nuda nell'animo, come persona, nello spirito: mi sento nuda dentro, mi comprendi? -
Si ricompone subito, gli bastano pochi istanti, torna impassibile: Richard Hamilton, la roccia.
- Io non so nulla di te invece – ormai non mi trattiene più nulla, la curiosità della mia dea interiore prende il sopravvento, sta cavalcando con il sottofondo de "La cavalcata delle Valkirie". Continuo... - Chi sei Richard? -
Un secondo, due secondi, tre secondi... Continua a guardarmi fisso negli occhi: se prima mi sentivo nuda adesso è come se si fosse appena tuffato dentro di me...
- Lo sai: sono un professore universitario, laureato in medicina con una seconda laurea in psichiatria e specializzato in psicoterapia, nonchè relatore della tesi della tua amica Jane Barnes, la quale specializzanda ha pensato bene d'incuriosirmi con il tuo caso. E così eccomi qua, a cercare di aiutarti, perchè te l'assicuro, è la prima volta che ho a che fare con sogni così coinvolgenti: sono estremamente affascinanti... i tuoi sogni ... Margaret -
- I miei sogni Richard? -
Non risponde. Io insisto.
- Jane mi ha detto che ti sei trasferito da poco a Londra, non è da molto che insegni qui...-
E' come se dovesse decidere se e cosa dirmi, una muta risposta le cui parole cerca nei miei occhi.
- Sono di Edimburgo, ho studiato là, ci sono rimasto fino ad un anno fa; poi mi sono trasferito qui... mi hanno fatto una buona offerta per insegnare all'Università e collaboro anche con alcuni ospedali. Non c'è poi niente di molto interessante nel mio passato, Margaret, sono solo un insegnante, un medico, felice quando posso aiutare gli altri a stare meglio: tutto qui -
- Scusami, non volevo essere indiscreta; solo che ti conosco da così poco, e guarda come stiamo adesso... - ridiamo entrambi, per un attimo ho avuto come l'impressione che ci fosse un pò di tensione nell'aria.
- Vado a prenderi i vestiti di sotto, saranno asciutti ormai; chiama Jane e sua madre, così ti fai venire a prendere da loro -
- Ma posso benissimo tornare a casa da sola... -
- Assolutamente no, non transigo - no, il tono decisamente non transige – ti fai accompagnare a casa, ti darò un antipiretico e un ricostiruente da prendere durante il giorno e stasera mi farai sapere come stai, ok? -
Non attende nemmeno che risponda, è già sceso a prendere le mie cose.
Mentre aspetto mi alzo seduta nel letto: in effetti sono ancora debole, mi gira un pò la testa, riesco ad accendere la lampada sul comodino accanto al cassettone e la luce soffusa illumina parte della stanza. Lo sguardo mi cade sulla foto accanto al calice: è Richard, è in mezzo ad altri due uomini, forse colleghi, sembrano medici anche loro: solo che lui è diverso, la barba meno folta, è solo accennata, i capelli più lunghi. So che è lui, eppure sembra un altro: ha un'aria familiare ...
Rientra con i miei abiti e la borsa, tutto è asciutto, anche se la camicia e il jeans hanno un'aria decisamente sofferta
- Ho messo a preparare il tè: hai portato tu quella torta che è all'ingresso? -
- Si, oddio, mi sono dimenticata di dirtelo ieri: volevo sdebitarmi in qualche modo per tutto quello che stai facendo per me.. spero ti piaccia il cioccolato -
- L'adoro! Perfetto, così possiamo prenderla col tè, ti ci vuole proprio per rimetterti in sesto: ti aspetto di sotto -
Mi scappa un sorriso mentre esce ed io comincio a rivestirmi: adora la cioccolata, fantastico!






PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA


Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

Avviso: il mio romanzo sarà presto disponibile in formato cartaceo e su ebook formato PDF,
appena sarà pronto aggiornerò i dati!! A presto e grazie per il sostegno!







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